Il 15 ottobre la Facoltà di Economia ha accolto una delegazione della Commissione per gli Affari Legislativi dell’Assemblea Nazionale del Popolo della Repubblica Popolare Cinese, guidata dal Vice Direttore della Commissione.
L’incontro, dedicato all’approfondimento del sistema legislativo italiano e alla ripartizione delle competenze tra organi centrali e locali, ha offerto un’importante occasione di confronto istituzionale al quale ha preso parte anche il Prof. Cesare San Mauro.
Il seminario, organizzato in collaborazione con l’Istituto di Diritto Cinese, rappresenta l’avvio di un dialogo costruttivo volto a promuovere una più profonda conoscenza reciproca tra i sistemi giuridici ed economici italiani e cinesi.
Un meccanismo di incentivo negativo previsto dal programma italiano di sostegno alle energie rinnovabili non può essere esaminato dai tribunali nazionali. Lo ha stabilito oggi la Corte di giustizia dell’Unione europea, respingendo un ricorso nella controversia tra l’operatore idroelettrico Tiberis Holding e il GSE (Gestore dei Servizi Energetici), una società statale. La Corte ha ribadito che solo la Commissione europea può valutare la conformità agli aiuti di Stato. La sentenza, che chiarisce il trattamento giuridico dei meccanismi di recupero legati ai prezzi di mercato, potrebbe fungere da caso pilota con implicazioni più ampie per altri produttori di medie dimensioni che operano nell’ambito del programma italiano per le energie rinnovabili.
La massima corte dell’UE ha respinto oggi un ricorso nella controversia tra l’operatore idroelettrico Tiberis Holding e il GSE, stabilendo che solo la Commissione europea può valutare la legittimità del piano di incentivi negativi italiano secondo le norme sugli aiuti di Stato, e non i giudici nazionali.
La sentenza della Corte UE di oggi su un meccanismo di Negative Incentive Program EU italiano per le energie rinnovabili potrebbe diventare un nuovo punto di riferimento per i produttori di energia in Italia.
Il caso ruota attorno all’interpretazione del cosiddetto “schema di incentivi negativi”.
Si verifica quando un’azienda di medie dimensioni, beneficiaria del programma di energia rinnovabile, riceve ricavi fissi dall’incentivo, ma deve restituire al GSE i ricavi extra.
In altre parole, il caso riguarda la decisione se un aumento del prezzo di mercato dell’energia nel tempo si traduca in un aumento dei ricavi di un operatore che beneficia di un programma di energia rinnovabile, oppure no.
I programmi di incentivazione delle energie rinnovabili mirano a incoraggiare gli imprenditori a investire in progetti di energia rinnovabile, proteggendoli dall’incertezza del prezzo di mercato dell’energia nel tempo.
Si tratta di forme di aiuto di Stato, approvate dalla Commissione europea e adottate dagli Stati membri, per promuovere l’elettricità da fonti rinnovabili.
Il GSE, di proprietà delle autorità italiane, è l’ente preposto a queste sovvenzioni in Italia.
Il beneficiario riceve un reddito totale che consiste nella somma dei ricavi derivanti dalla vendita dell’energia prodotta sul mercato e dell’incentivo pagato dal GSE.
Secondo l’attuale legge italiana, i produttori di impianti di medie dimensioni, come Tiberis, che accedono agli incentivi iscrivendosi a un registro elettronico, devono restituire la differenza tra il prezzo di mercato e l’incentivo. Questo è diverso dai produttori con impianti di potenza superiore ai 5 megawatt, che accedono all’incentivo tramite un’asta e possono incassare l’intero prezzo di mercato.
Cesare San Mauro, avvocato del GSE, ha dichiarato a MLex di non considerarlo nemmeno un aiuto di Stato. “Il GSE è pubblico, ma questi ricavi non provengono da aiuti di Stato, bensì dalle bollette elettriche, e quindi dai consumatori”.
“Questo è un caso pilota in Italia”, ha detto San Mauro, “perché ci sono molte compagnie energetiche che hanno beneficiato di questo doppio vantaggio: l’incentivo per l’energia rinnovabile e l’aumento dei prezzi dell’energia sul mercato”.
Tiberis ha ricevuto circa 4 milioni di euro (4,6 milioni di dollari) di contributi dal 2017 al 2021, ma nel 2022 il GSE ha chiesto a Tiberis di rimborsare circa 1,2 milioni di euro, che il GSE ha considerato come ricavi extra.
Secondo il GSE, se il prezzo di mercato scende, il programma di incentivi garantisce comunque un livello di reddito costante per l’azienda, mentre se il prezzo di mercato sale, il GSE intasca la differenza tra il prezzo dell’energia e la tariffa fissa di incentivo.
Il più alto tribunale amministrativo italiano, il Consiglio di Stato, dove la battaglia legale si è intensificata dopo che Tiberis aveva perso al livello inferiore.
In questa intervista, l’avvocato e docente universitario analizza il ritiro dell’offerta di UniCredit sulla Popolare di Milano e spiega perché le prescrizioni italiane violerebbero il diritto comunitario.
Professore di Diritto dell’Economia all’Università La Sapienza di Roma, già consulente giuridico presso istituzioni nazionali ed europee, Cesare San Mauro interviene sul caso che ha scosso il sistema bancario italiano: il ritiro dell’Offerta Pubblica di Scambio di UniCredit verso BPM, a seguito delle prescrizioni imposte dal Governo con il golden power.
Professore, cosa rende particolare il caso UniCredit–BPM rispetto ad altre operazioni del risiko bancario?
Nel caso specifico il Governo ha attivato il golden power imponendo una serie di prescrizioni che hanno portato UniCredit a ritirare l’OPS. Tuttavia, tali vincoli non sono stati applicati in operazioni analoghe, come quella del Monte dei Paschi su Mediobanca o della BPER sulla Popolare di Sondrio. Questo solleva dubbi sull’uniformità e sulla legittimità del criterio adottato. È bene ricordare che UniCredit, per struttura e sede, è a tutti gli effetti una banca italiana: lo attestano i depositi, la rete territoriale, il personale, la giurisdizione competente.
La normativa europea ammette strumenti di tutela come il golden power?
Sì, ma con limiti ben precisi. Il golden power nasce per proteggere settori strategici — difesa, telecomunicazioni, infrastrutture essenziali — da acquisizioni che minaccino l’interesse nazionale, soprattutto da capitali extra-UE. L’estensione a settori come finanza e assicurazioni è avvenuta in via eccezionale durante la pandemia. Applicarlo tra operatori europei senza un pericolo grave e attuale significa violare i principi fondamentali dei Trattati, a partire dalla libera circolazione dei capitali.
Quindi l’Italia rischia una procedura d’infrazione?
Assolutamente sì. La lettera della Vicepresidente della Commissione europea, Teresa Ribera, è molto chiara: l’interpretazione italiana del golden power nel caso UniCredit-BPM contrasta con il Regolamento europeo sulle concentrazioni — che ha lo stesso valore della legge — e con lo spirito dei Trattati. Se il Governo manterrà questa linea, non solo rischia pesanti sanzioni, ma alimenta un precedente pericoloso che potrebbe ritorcersi anche contro le imprese italiane all’estero.
E il fatto che anche Francia o Germania pongano vincoli simili?
Non può essere una giustificazione. Se altri Stati pongono ostacoli alle imprese italiane, anche loro agiscono contro il diritto europeo e subiscono condanne. Ma due torti non fanno una ragione. In uno Stato di diritto, non può prevalere la logica del fatto compiuto: alla legge del più forte dobbiamo opporre la rule of law. È questo il segno distintivo dell’Europa a cui apparteniamo.
Cesare San Mauro
Professore associato di Diritto dell’Economia – Università La Sapienza – Roma
Una delle mosse del risiko bancario si è chiusa in un modo poco brillante e cioè con il muro dell’ops da parte di Unicredit verso Banco Bpm a causa delle prescrizioni imposte dal governo con il golden po-wer. Conviene, innanzitutto, sottolineare che tali prescrizioni erano state previste solo in questa ops e non in analoghe operazioni come quella del Monte dei Paschi di Siena su Mediobanca o quella di Bper sulla Popolare di Sondno. Con l’avvio delle privatizzazioni negli anni “90, per consentire allo Stato che si spogliava della sua funzione di proprietario per divenire regolatore, fu adottata laFarsi share e cioè la previsione che negli Statuti delle società privatizzate fosse prevista una nonma che concedeva al titolare pubblico dell’Azione d’oro la facoltà di rimanere nella gestione della società mediante la nomina di componenti il cda e il Collegio sindacale, il diritto di veto su determinati operazioni societarie e così via.
Tale istituto venne adottato non solo in Italia, ma anche in Francia, in Spagna, in Germania, in Belgio e in Portogallo, La golden share fu dichiarata illegittima in tre diverse sentenze della Corte di Giustizia Ue tra il 2000 e 11/2003 in quanto violava uno dei principi portanti dell’Ue e cioè la libera circolazione dei capitali (nonché delle persone e delle merci) all’interno dell’Unione stessa.
Sulle ceneri della golden share nasce, quindi, l’istituto del Golden power che assegna agli Stati nazionali 1l potere di adottare provvedimenti per impedidire che settori strategici per la sicurezza nazionale, l’ordine pubblico e l’interesse generale vengano trasferiti a capitalisti privati che non tutelino i preminenti interessi pubblici. Il golden power era originariamente circosenitto ad alcuni settori come la Difesa, lo Spazio, le Telecomunicazioni, venendo poi allargato a tutte le reti e Le infrastrutture non duplicabili.
Solo con la pandemia da Covid (2020) 1l solden power stato allargato i settori della salute, dell’agroalimentare e infine della finanza e delle assicurazioni. Nel caso Unicredit-Bpm si è dapprima sostenuta la sua applicabilità sostenendo che Unicredit non fosse una banca di proprietà italiana. È pur vero che il flottante in borsa è al momento per circa i due terzi in mano a grandi fondi d’investimento americani e inglesi, ma la nazionalità di una banca non può essere attribuita al soggetto che in un dato momento possiede la maggioranza delle azioni; si deve piuttosto fare riferimento al valore economico dei depositi, agli impieghi, al ricavi, alla presenza di filiali e agenzie, ai dipendenti, alla sede legale, alla giurisdizione competente, tutti elementi che ci fanno affermare che Unicredit sia una banca italiana.
Si è poi esaminata (come negli altri casi del risiko bancario) l’ops nel mentoda parte del competente Nucleo di esperti presso la presiden- za del Consigliodei ministri, L’imposizione di nu- merosi prescrizioni da parte del Nucleo e la successiva ratifica governativa di questa linea da parte del Consiglio dei mimistri (con la ferma opposizione di Antomo Lajam e dei ministri di Forza Italia) ha trovato una prima siemificativa censura nella pronuncia del Tar del Lazio che ha dichiarato parzialmente illegittimo il decreto applicativo del golden power al caso di specie, ma tutta un ampia e articolata contestazione della sua applicabilità nella lettera di 80 pagine spedita dalla vice-presidente della Commissione Europea Teresa Ribera al governo Italiano nella quale si sostiene che l’interpre- tazione italiana del solden power violi non solo il regolamento sulle concentrazioni ma gli stessi spiriti e ratio dei Trattati istitutivi che prevedono la libera circolazione dei capitali nell’Unione. Né può valere l’argomento che anche altri Stati (come la Francia e la Germania) pongono vincoli e limiti alle imprese italiane che intendono acquistare 1mprese nel loro Paesi. Quando essi lo fanno si pongono anche loro in conflitto con il diritto euro unitario e anch’essi subiscono pesanti sanzioni e condanne da parte degli organi di giustizia dell’Unione Europea.
Cesare San Mauro professore di Dintto dell’Economia Università La Sapienza- Roma
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